Data: 31/12/2021 - Anno: 27 - Numero: 3 - Pagina: 32 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
ANCHE CARCIOFINI SELVATICI |
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AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Questo periodico, nato nell’aprile del 1994, è stato ideato e progettato per “partecipare”, quale cordone ombelicale, a tutti i Badolatesi sparsi per le vie del mondo, i risultati dell’impegno e del lavoro necessario per realizzare le finalità previste dallo Statuto dell’Associazione culturale“La Radice” nata nel febbraio del 1991: scavare per ricercare, portare alla luce, recuperare, valorizzare rendendo fruibile la Storia della Comunità badolatese (oggi allargata) in tutti i suoi aspetti, associativi, politici, sociali, antropologici, religiosi, artistici, economici, ecc. Tra le numerose rubriche previste per i vari argomenti in qualche modo fissi del periodico c’era quella dell’Economia, curata, par alcuni numeri, dall’amico Peppuccio Gallelli. In prosieguo abbiamo scritto di argomenti economici saltuariamente, quando se n’è avuta occasione e possibilità. Oggi, a ventisette anni dalla nascita di questo strumento di comunicazione, ricordiamo di avere scritto di olive e di olio, di vino e di cereali, -primo il granoquali prodotti principali della nostra economia, prevalentemente agricola. Ovviamente abbiamo scritto anche d’altro, magari non sempre intenzionalmente e in contesti non prettamente economici. Così nelle pagine del periodico capita di leggere di legumi, di ortaggi, di cotone, di lino, di frutti vari. E anche di seta, prodotta dal baco alimentato dalle foglie delle centinaia e centinaia piante di gelso, portate dalla marina nelle case dentro cesti ricolmi sulla testa delle nostre donne. Quasi tutti questi prodotti servivano alla sussistenza della locale Comunità. Una minima parte veniva barattata in altri paesi con altri prodotti che in Badolato non venivano prodotti o non a sufficienza. Le nostre donne andavano nel Crotonese a barattare fichi con grano che, sebbene da noi non fosse proprio scarso, non era sufficiente per soddisfare le esigenze delle circa cinquemila persone di metà secolo ventesimo. Si andava a Pietracupa con gli asini carichi di fichidindia, e si ritornava con sacchi di patate. Pochi erano i prodotti che venivano venduti perché abbondanti, e consentivano pertanto ai contadini di mettere in tasca un po’ di denaro. L’olio veniva venduto a commercianti locali che giravano per le case dei contadini a prelevarlo, e poi lo rivendevano a grossisti spedendolo col treno fuori regione. Delle “speciali” pesche di Badolato che, con numerosi vagoni ferroviari partivano per la Campania e per la Sicilia e anche per altre zone d’Italia, abbiamo scritto in un circostanziato articolo a firma dell’amico Pepè Parretta, il quale, ancor giovinetto, ne fu acquirente in uno dei cinque scari della marina di Badolato, realizzato da suo padre. Non poche famiglie, avendo esigenza di monetizzare, vendevano i bozzoli, piuttosto che farne seta, portandoli in treno a Soverato. Alcune donne, poggiato il grande cesto ricolmo sulla testa protetta dal cercine, (a curùna), portavano i bozzoli a Soverato percorrendo a piedi l’antica strada che portava verso Catanzaro prima della costruzione della litoranea ionica (S.S. 106, oggi E 90) ultimata negli anni Trenta dello scorso secolo. Solo di recente siamo venuti a conoscenza, casualmente, di un’altra attività commerciale, strana e modesta in verità, che si praticava nella marina di Badolato, prima dell’alluvione del 1951, e anche prima del terremoto del 1947e quindi non conosciamo quando ebbe inizio tale attività: la raccolta e la vendita dei carciofini selvatici, con tutte le spine, oggi costosa squisitezza della nostrana arte culinaria. Sappiamo, invece, e ci piace parteciparlo ai nostri lettori, che già nell’Ottocento, e molto probabilmente già nel Settecento, nel porticciolo di Badolato attraccavano le paranze della famiglia badolatese Bressi (detti Simùni, antenati dello scomparso farmacista Nino Bressi), per portare a Badolato stoccafisso, baccalà, aringhe, sale, zucchero, caffè, spezie varie,… esportando certamente olio d’oliva e certamente altro. Tornando ai carciofini selvatici che, costituiscono l’argomento centrale di questo articolo, abbiamo da sempre saputo che per i Badolatesi costituivano un cibo “accessorio”, e che non pochi ne facevano ottima conserva, sott’olio, da consumare regolarmente ai pasti, spesso senz’altro aggiungere, così come quasi usualmente avveniva per le chiocciole, catturate nei terreni argillosi, alle prime piogge di ottobre, al risveglio dal letargo, e talvolta conservandole vive nella crusca, costringendole a letargo forzato, per poi mangiarle all’occorrenza, fuori stagione, al momento del bisogno. E c’era pure chi le portava in città per venderle al mercato ortofrutticolo quale cibo prelibato. Chiocciole, carciofini, capperi… sono oggi squisiteze alimentari, caratteristiche di alcune regioni italiane. Ed ecco, finalmente, lo strano commercio dei carciofini selvatici, di cui scriviamo riportando le parole di Angelina Spagnolo in Rossi (Mercànta, cl. 1934), partecipateci con notevole entusiasmo e da noi raccolte con interesse: “Quando ero bambina, insieme a mia madre, Criniti Teresa detta Vittoruzza, con mia sorella Vittorianna vedova Carnuccio e altre donne, fornite di vasche di lamiera andavamo nei campi incolti a ‘tagliare’ carciofini selvatici che vendevamo a un certo don Angelo, che arrivava alla marina con il treno, forse dalla Sicilia o dal Nord. Era un tipo piuttosto pienotto. I carciofi partivano poi con un vagone ferroviario. In campagna, per evitare che la vasca si riempisse subito, pestavamo i carciofini con scarpe che per suola avevano il legno, che ci mandavano i parenti dall’America. Con noi c’erano anche i figli di Agostino Lombardo, detto Pologruto che era il cognome della moglie Teresina ’a Petruzzòta, ed era guardiano al Fòndaco di don Mico Caporale. Forse li compravano per fare liquore. Non ricordo a quante lire al chilo ce li pagavano.” Per ampliare sempre più l’orizzonte della nostra ricerca, pur apprezzando l’interessante e chiaro racconto della signora Angelina, abbiamo voluto sentire altre persone, ovviamente non più tanto giovani. Così abbiamo sentito da Marianna Procopio fu Pietro (Mommu) che i carciofini raccolti venivano portati in una specie di piccola baracca sotto un grande ulivo sul retro dell’attuale palazzo Scoppa che oggi ospita tra l’altro la rivendita di Sali e tabacchi di Franco Procopio, al bivio della S.S. 106 e la strada provinciale per Badolato Superiore. Ascoltando altre persone anziane abbiamo saputo di altri due raccoglitori, Francesco Criniti (Cicciu u Mancusànu) e la moglie Vittoria Caminiti. Ma certamente c’erano non poche altre persone che andavano su e giù per le aride zone di Ponzo, di Malòti, di Càpperi,… per tagliare, spinandosi le mani, i carciofini da portare allo scalo ferroviario a don Angelo.
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